2 giugno - Festa della Repubblica e della Costituzione
Prima di tutto, un saluto ai milanesi, con i quali - in questi giorni - ci siamo visti piuttosto spesso e sempre in allegria.
Ma subìto dopo voglio inviare un caldissimo saluto ai tanti - dell’ANPI e della CGIL, soprattutto - che sono venuti da altre Regioni, spesso lontane, per partecipare a questa festa e per riflettere con noi sulle prospettive. A loro, un saluto ed un grazie particolare.
Abbiamo avuto finalmente un grande giorno, non solo qui ma in tutta Italia. Avevamo recepito segnali, creato occasioni, cercato di collegare, ma ci voleva un momento di sintesi. Ed è stato bellissimo. Grandiosa la festa, grandioso l’entusiasmo, grandiosa la felicità che sprizzava dai centomila in Piazza Duomo, che esprimevano gioia, volontà di riscatto, speranza, mescolata a certezza. Ed è stato magnifico il saluto all’ANPI; al solo pronunciarne il nome, un applauso imponente e poi alto, spontaneo, gioioso, il canto di Bella ciao; è una canzone a noi cara, da sempre, ma cantata da centomila persone è apparsa ancora più bella e emozionante. Un momento indimenticabile, lo assicuro a chi non c’era, un momento, per tutti, di gioia e commozione al tempo stesso.
Oggi, la festa non è finita, ma è un’altra cosa; oggi ripetiamo, insieme, undici associazioni, promotrici, ma con tante e significative adesioni, di Associazioni e di singole personalità, la manifestazione dello scorso anno, con cui festeggiammo insieme Repubblica e Costituzione. Festeggiare, per noi, non vuol dire solo “festa” nel senso classico della parola, ma significa anche riflettere, fare un bilancio, valutare le prospettive.
Una Repubblica che spesso appare a rischio, nei suoi fondamenti, nelle sue strutture, perché la Repubblica è fatta di regole, di istituzioni, di un sistema organizzativo, ma è fatta di princìpi e di valori prima di tutto.
E questa Repubblica è scaduta ad un livello sempre più basso; gli scandali non solo privati del Presidente del Consiglio, l’arroganza del potere, il trasformismo in Parlamento, quale non si ricordava dagli inizi del ‘900, al livello di una compravendita e della mancanza totale di coscienza morale, l’attacco reiterato e continuato, sempre più aspro, alle istituzioni di garanzia, alla Magistratura, alla Corte Costituzionale, al Presidente della Repubblica (anche se, per
quest’ultimo, in forme più insinuanti, come non rispondere ai suoi accorati appelli o mostrare ossequio e poi non tenerne alcun conto), soprattutto l’ostinato disprezzo delle regole; e la caduta di ogni dignità anche all’estero (chi non ricorda, da ultimo, l’approccio lamentoso del Presidente della Repubblica a Obama e al Presidente russo, al G8?; io mi sono sinceramente vergognato per lui e per il nostro Paese), l’impossibilità del confronto, il vuoto legislativo, le Camere ridotte ad esecutrici dell’agenda dettata dalla maggioranza, sottoposta ad una sequenza di decreti legge e provvedimenti omnibus, nonché a continue votazioni di fiducia, mentre il Paese, il Paese reale, brucia.
Che ne è di una Repubblica democratica quando escono dati come quelli dell’Istat, che descrivono una condizione femminile, una condizione di giovani e meno giovani, senza lavoro o con lavoro precario? Soprattutto quando ci parlano di 2 milioni di persone, tra i 18 e i 30 anni, che non solo non lavorano, ma hanno perso ogni speranza e non cercano neppure più lavoro. Che ne è di una Repubblica democratica quando, a tutti questi diseredati, resta solo l’arte di arrangiarsi?
E in più, manifestazioni aperte di razzismo e di disuguaglianza, manifestazioni continue di fascismo e nazifascismo, che sfidano apertamente il carattere democratico che dovrebbe avere questa Repubblica.
E non va meglio, per quanto riguarda la Costituzione. Non sono solo gli attacchi a questa o quella norma, i progetti di riforma “epocali”, i disegni di legge depositati in Parlamento ma pronti a spiccare il volo alla prima occasione. E non mi stancherò mai di ripetere che ciò a cui bisogna porre attenzione non sono solo le proposte di modifica, che spesso sono soltanto “manifesti”, o dichiarazioni di intenti”, ma le violazioni silenziose, il disprezzo più o meno evidente per i princìpi e i valori, l’abitudine di disattendere, nei fatti, il dettato costituzionale. Penso agli accordi Fiat ed alle decisioni di Marchionne a fronte dell’art. 41 della Costituzione, che vuole il rispetto della libertà, dignità e sicurezza della persona e richiama l’imprenditore privato al concetto di utilità sociale. Penso agli applausi che salutano nell’assemblea degli industriali l’amministratore delegato della Thyssen, condannato per l’omicidio, fra atroci sofferenze, di otto persone; applauso a cui si accompagna un giudizio ancora peggiore, secondo il quale certe sentenze impediscono che gli stranieri
vengano ad investire in Italia. Che significa non avere rispetto non solo per le regole della sicurezza, ma neppure per la morte di alcuni lavoratori e la distruzione della vita di tante famiglie.
E colpisce un Parlamento in cui è solo il Governo che impone le priorità, suona l’adunata quando c’è una legge che ritiene utile ai suoi interessi e mercanteggia i voti.
In questo sta lo svilimento della Costituzione, la sua negazione nei fatti; così come lo è il decadimento della scuola pubblica, dello spettacolo, della cultura, dell’arte; e come lo è la mancanza di prospettive e di speranze per i giovani, la negazione della libertà e indipendenza dell’informazione.
Certo, questo quadro ha avuto e sta avendo alcune correzioni; ci sono - lo abbiamo già detto - segni di riscossa; l’indifferenza sembra sfumare sullo sfondo ; molti cittadini acquistano consapevolezza della situazione e cominciano non solo a gridare “basta”, ma a dimostrare con fatti ed azioni precise che considerano superato il limite della tolleranza. In altre parole, più semplici, non se ne può più; e c’è gran voglia di reagire, di farsi sentire, di tornare ad essere protagonisti, in nome della Costituzione e della democrazia.
E si colgono segni concreti. Mezza Italia che vive in modo nuovo, città che parevano condannate al malgoverno e improvvisamente si riscattano; Milano che vede tornare al governo della città le forze democratiche dopo ben diciotto anni; Napoli che rivela un improvviso e importante desiderio di legalità, e così Novara, Trieste, Cagliari; e qui da noi Rho, Desio e perfino Arcore, la tana del lupo che si apre alla democrazia.
Segnali che ci fanno gioire, ma che non devono creare illusioni.
Prima di tutto, perché se la destra deve fare serie riflessioni sulla sconfitta, l’opposizione e il centro sinistra non possono fare a meno di riflettere sui propri errori e sulle proprie debolezze.
Guai se non lo facessero, nel momento in cui è necessario andare avanti, consolidare i successi, trasformandoli in vittoria politica, che lasci il segno non solo a livello locale e nelle situazioni locali, ma al centro, in Parlamento, nel Governo.
Una riflessione che deve avere, a mio parere, due obiettivi:
- Il primo, l’unità di tutte le forze democratiche e antifasciste; so che è difficile, ma io non mi riferisco ad un fenomeno organico, ma ad un’alleanza che rispetti le singole autonomie, ma ne cerchi i punti in comune, li faccia sentire e sia capace di esprimerli ai cittadini, che sono stanchi di diatribe e vogliono unità di intenti, collaborazione, sforzo comune. Con questa manifestazione diamo un piccolo esempio, perché essa nasce dall’intesa di undici associazioni ed abbiano il dovere, di anno in anno, di estenderla e rafforzarla; ma essa deve avere riflessi non solo nelle grandi occasioni, ma nella stessa vita quotidiana, di fronte ai singoli problemi ed assumere carattere di continuità.
- Il secondo, implica lo sforzo di creare e rendere evidente l’alternativa; bisogna cioè riuscire a contrapporre a chi vuole condurci verso l’oscurità, verso il populismo e l’autoritarismo e verso il degrado, la forza della democrazia, un progetto visibile, una linea su cui si possa intravvedere il futuro, senza deviazioni e tenendo ferma la barra della dignità e dell’equità.
Questo è il punto più delicato, perché il difetto di una vera progettualità è tangibile e visibile per chiunque. Ma senza di esso, si resta fermi nella protesta e basta. Ci sono modelli alternativi rispetto ai ricatti di Marchionne? Certamente si, ma bisogna svilupparli, costruirli e metterli in campo. Ci sono possibili modelli di sviluppo, in un Paese stanco e immobile, senza sviluppo e senza lavoro? Certamente, sì, ma bisogna smettere di piangersi addosso invece di confrontarsi a fondo sui problemi concreti; bisogna riflettere, bisogna costruire, con l’apporto di tutti, e dimostrare ai cittadini che non siamo condannati al degrado, che la soluzione c’è ed esiste chi è pronto a portarla avanti.
C’è un modo diverso di vivere la politica, fondandosi sulla morale e sulla correttezza? Certamente si. Ma è ora, finalmente, non di predicarlo, ma di mostrare concretamente come si deve agire, nella vita comune ed in quella politica, corrispondendo a criteri di profonda eticità.
Ecco, queste sono le linee che dobbiamo indicare anche in un giorno di festa, se vogliamo che essa continui e si trasformi in una nuova fase della vita del Paese.
Con un ultimo avvertimento. Se fino a qualche giorno fa, cercavamo di astenerci da previsioni sull’esito del voto se non altro per scaramanzia, adesso bisogna convincersi che non abbiamo ancora superato le difficoltà, insomma non abbiamo ancora vinto definitivamente e dobbiamo fare attenzione ai colpi di coda. Il gigante atterrato può rialzarsi e colpire duramente, anche per vendetta; il desiderio di rivincita può produrre effetti devastanti.
E non basta: l’apertura di una sede di Casa Pound a Milano, in una zona come Quarto Oggiaro, non può che destare serie preoccupazioni, facendoci convinti che occorre più che mai battere ogni rigurgito di fascismo e nazifascismo, purtroppo sempre in agguato.
Bisogna sapere tutto questo ed essere preparati. Insomma, come in un film Western, bisogna fare festa, ma bisogna lasciare al loro posto le sentinelle e tenere gli occhi aperti; e dopo la festa, lavorare.
Chi ne volesse una prova, dovrebbe riflettere su ciò che è avvenuto due giorni fa, nella Commissione difesa della Camera. Mentre tutti pensavano al voto e commentavano i risultati, in Commissione difesa la maggioranza portava avanti e concludeva un disegno di legge, per alcuni aspetti, vergognoso, perché nel disciplinare le associazioni di interesse delle forze armate, non solo pretende la loro totale apoliticità, non solo le pone sotto un penetrante controllo del Ministero della difesa, ma equipara tutti i combattenti e dunque anche quelli che combatterono con la Repubblica di Salò. E’ un progetto ricorrente, che abbiamo sempre avversato e che ora è stato posto alla ribalta proprio in un giorno di diffusa distrazione, respingendo ogni tentativo di modifica e perfino gli emendamenti e un disegno di legge in materia, proposto dall’opposizione.
Il fatto è di una gravità inaudita, e bisognerà impegnarsi, da adesso fino al momento in cui arriverà all’esame dell’Assemblea di Montecitorio, perché esso venga profondamente e radicalmente cambiato. Chiediamo l’impegno di tutte le organizzazioni dei combattenti per la libertà, delle forze democratiche, in Parlamento e fuori, nonché l’appoggio dei cittadini; e mobiliteremo i nostri iscritti perché facciano sentire la loro voce ed impediscano questo sconcio, che nega ed offende la nostra storia, la Resistenza e i Caduti per la libertà.
Può darsi che qualcuno trovi che è presto per tutto questo ragionamento e che adesso bisogna godersi la festa. Ma la nostra proposta non è quella di non gioire e festeggiare, ma quella – semmai – di restare vigilanti, di non sedersi sugli allori e convincersi che c’è ancora un lungo cammino da percorrere. Sta a noi accelerarlo, sta a noi trasformare la riscossa di un momento in una vera e definitiva vittoria, sta a noi risollevare il Paese dal degrado e dalla rovina, per tornare alla Costituzione, ai princìpi, ai valori, alla democrazia, alla libertà, insomma per costruire un’Italia diversa, quale la volle la Resistenza, un’Italia serena e felice, fatta di sviluppo, di lavoro, di cultura, di buona scuola, di ricerca, di convivenza civile, contro le disuguaglianze e il razzismo. Insomma, bisogna provocare una scelta definitiva tra l’Italia dei poteri forti, dei prepotenti, dei furbetti, degli immorali e l’Italia dell’Unità, della democrazia e dell’antifascismo. Siamo qui per questa Italia, nel 150 anniversario della sua Unità; facciamola crescere, facciamola diventare adulta e democratica, per noi e per i nostri figli, per i nostri nipoti, soprattutto per un avvenire migliore.
E poiché abbiamo alle porte un’altra prova importante, della quale avevano tentato di privarci, i referendum, cogliamo l’occasione, dimostrando prima di tutto che vogliamo esercitare questo diritto fondamentale della democrazia, andando tutti a votare; in secondo luogo, votando SI a tutti i quesiti (nucleare, acqua, legittimo impedimento), perché si tratta di decidere, in definitiva, su beni comuni, che riguardano la nostra vita e il nostro futuro e sul principio di uguaglianza, che è il fondamento della democrazia. Tutti alle urne, dunque, il
12 e il 13 giugno. C’è stato, anni fa, qualcuno che ha invitato i cittadini – in simili occasioni – ad andare al mare. Quell’appello, ingiusto e contrario al dovere di un uomo di Stato, non gli portò fortuna. Dimostriamo anche oggi che vogliamo essere padroni del nostro destino ed esercitare un diritto che la Costituzione ci riconosce, ma che in qualche modo è anche un dovere morale quando si tratta di beni comuni e di problemi che attengono alla persona nostra, dei nostri figli e dei nostri nipoti.
Ma si tratta, soprattutto, di dare una prova definitiva di un fatto che certo non piacerà a chi ci governa, che cioè siamo ormai in cammino e non intendiamo fermarci: un cammino che conduce verso un’Italia più civile, più democratica,
più antifascista, fondata sulle regole ed i princìpi di una Costituzione conquistata col sangue dei combattenti per la libertà.
Carlo Smuraglia
Presidente Nazionale ANPI
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