giovedì 29 settembre 2011

Il Manifesto con un'intervista a Francesco Innamorati Presidente Anpi Perugia

Il Manifesto mensile umbro di politica,  economia e cultura









copia omaggiosettembre 2011 - Anno XVI - numero 9                                                                                                                                        in edicola con “il manifesto”                                                                                                                                                                                             Euro 0,10






P
 
ossiamo definirlo come meglio cre- diamo: questione morale, tangen- topoli, eccetera, quello che però va


ghesia italiana e umbra, politici e burocra- ti della Regione e degli enti locali.
Questo modello è entrato in difficoltà con


Homeless


emergendo dalle inchieste giudiziarie e da
cui  la  maggioranza  di  centr o  sinistra
umbra tenta difficoltosamente di divinco-
larsi si configura come la ramificazione di


la crisi economica, non è più riproducibile
e ciò spiega perché oggi tutto esploda.
L’intervista  della Rosignoli al “Corriere
dellUmbria da questo punto di vista è



I
 
numeri presentati nei giorni scorsi dalle associazioni di inquilini e dai sindacati parlano chiaro: nell’anno in


un sistema se non criminoso sicuramente
politicamente viscido. Le sue radici sono
interne ed esterne alla regione. Quelle
esterne sono sotto gli occhi di tutti: il
modo in cui è stato gestito il potere politi-
co nel quasi ventennio berlusconiano, il
circuito sempre più stretto tra politica e
affari, i fenomeni di corruttela che coin-
volgono lo stesso presidente del consiglio
con i suoi processi, le notti brave, le fre-
quentazioni con personaggi discutibili e
discussi. Ma sarebbe sbagliato pensare che
tolto di mezzo Berlusconi la questione sia
risolta. Il presidente del consiglio è solo
l’aspetto eccessivo e caricaturale di un pro-
cesso più generale di corrompimento della
Repubblica che lambisce e coinvolge la
stessa  opposizione:  dallabbiamo  una
bancadi Piero Fassino, al sexigate  e alle
operazioni sulla sanità degli amici pugliesi
di D’Alema fino ai recenti fatti di Sesto
San Giovanni. Quello che si configura è
un vero e proprio sistema che, eliminato il
Caimano, rischia di riprodursi all’infinito,
come un tumore che genera continuamen-
te metastasi. In altri termini non si tratta
di fenomeni di malcostume, casi isolati,
come sostengono alcuni, ma di un collau-
dato meccanismo che non può esser e
smontato invocando l’autoriforma della
politica, ma con mezzi eccezionali  che
coinvolgano cittadini organizzati e provo-
chino una “indignazione”  capace di tra-
sformarsi in movimenti di massa.
La questione delle inchieste umbre si col-
loca in questo contesto. Non  si tratta,
anche qui, di fenomeni episodici, ma di
un modo strutturato di gestione della cosa
pubblica tramite l’individuazione di inter-
locutori sociali e la costruzione di clientele
attraverso l’uso della spesa pubblica.
Non sappiamo - lo abbiamo ripetuto più
volte - se le cose che vengono descritte e
raccontate attraverso le intercettazioni
siano perseguibili penalmente e franca-
mente siamo poco interessati alle vertenze
legali che coinvolgono i protagonisti: dal-
l’ex presidente  della Regione, ai suoi asses-
sori, alla direttrice dell’Asl 3, la dottoressa
Gigliola Rosignoli,  all’ex capo di gabinetto
della Lorenzetti, Sandra Santoni, a sinda-
ci, a presidenti di public utility, ecc..


























Il sistema


Facessero i magistrati. Né abbiamo inten- zione di lanciarci in tirate moralistiche. Quello che per noi è importante è capire il senso politico di queste vicende, come si collocano rispetto alle trasformazioni eco- nomico-sociali  dellUmbria nel primo decennio del XXI secolo. Quello che si è saldato è un blocco di potere che ha fatto delle politiche di urbanizzazione e di edifi- cazione, dei lavori pubblici, il volano di una fragile crescita economica e della spesa pubblica e dei servizi a rete lo strumento attraverso cui si costruivano blocchi elet- torali, interlocuzioni con poteri esterni ed interni alla regione. Intorno a ciò si è costruita una classe  dominante in cui si sono saldati rendita edilizia, sfruttamento del territorio, forme di erogazione di lavo- ro e servizi che generavano solide clientele, rapporti con settori compradori della bor-


emblematica. Cosa dice? Che non ci sono
illeciti, che tutto quello che ha fatto era
nella sua discrezionalità, che la sua defene-
strazione - avvenuta qualche giorno dopo -
è il tentativo di scaricare tutte le responsa-
bilità politiche e amministrative su una
sola persona, assolvendo tutti gli altri. In
realtà la direttrice dell’Asl 3 era un tassello
non secondario di un sistema di potere, di
un bilanciamento di interessi in cui erano
coinvolti tutti i protagonisti dell’inchiesta
folignate. Non solo, quindi, capro espiato-
rio, ma protagonista di una vicenda politi-
camente discutibile.
Ma allora perché salta? Il motivo è meno
complicato di quanto appaia. Se il sistema
affermatosi nel decennio scorso mostra
crepe, non regge più, è evidente che sia
meno compatto, permeabile alle inchieste.
Chi è escluso dal gioco parla e coinvolge
poteri e potenti. E quello che è successo.
In questa situazione è evidente che il pote-
re politico non può perpetuarlo, per non
essere  esso stesso travolto dalla frana. A
maggior ragione quando cambiano i pro-
tagonisti, che non vogliono essere coinvol-
ti in fatti che non hanno contribuito a
determinare. I fatti di questi ultime setti-
mane confermano questa ipotesi e spiega-
no perché alla fine si sia ritenuto opportu-
no - dopo un anno di graticola - liberarsi
della Rosignoli. E anche il sintomo di un
meccanismo ingrippato di comunicazione
e di fiducia tra la burocrazia apicale e i
politici. La prima è convinta che si possa
andare avanti lungo la consolidata strada
individuata nel decennio precedente, la
seconda si sta accorgendo che il modello
lorenzettiano non è più proponibile, non
sa come cambiare, ma comunque si rende
conto che così non può andare avanti.
Tutto qui.
Non cè nessuna palingenesima un calco-
lo, tutto sommato elementare, teso a sal-
vare il salvabile.  Nella congiuntura: la
Presidente ha fatto comunque bene a giu-
bilare la sua dirigente, anche se al limite
del  tempo  massimo,  la  Rosignoli,  per
parte sua, ha sostenuto che se l’avessero
rimossa sarebbe tornata a fare il medico.
Lo faccia. E pur sempre un mestiere
dignitoso.


corso gli sfratti in Umbria hanno già supe- rato le mille unità a fronte delle 870 pen- denze registrate nel 2010. Il quadro è reso ancora più drammatico dal taglio del Fondo a sostegno degli affitti, istituito dalla legge
431/98: se nel 2010 il governo aveva stan- ziato 2 milioni e 400 mila euro, per il 2011 la cifra è crollata a 182 mila euro. La causa di gran lunga prevalente che determina il provvedimento giudiziario è la morosità rei- terata dell’inquilino, una morosità che nella quasi totalità dei casi nasce da gravi diffi- coltà economiche. Insomma in base a questi dati non saremmo di fronte a comporta- menti furbeschi ma ad una vera e propria emergenza  sociale scatenata dalla crisi in atto che colpisce due volte: direttamente togliendo il lavoro, indirettamente, attraver- so la cancellazione della possibilità di usu- fruire di un sostegno all’affitto, togliendo anche la casa. C’è da dire che la Regione ha comunque deciso di tamponare, in parte, la falla stanziando la somma aggiuntiva di un milione di euro. Ma non basta. Ecco che allora che il consigliere Dottorini, già verde e ora Idv, seguito a ruota dall’assessore Vinti, ha proposto di assegnare agli inquili- ni sfrattati o a rischio di sfratto, almeno nel capoluogo, gli appartamenti sotto sequestro di Ponte San Giovanni finiti in mano alla camorra, sempre che possano essere confi- scati e si trovino le risorse per completarne la costruzione. La proposta è comunque buona, da anime, se ci è permesso, fin trop- po candide. In Umbria la politica edilizia ed urbanistica degli ultimi decenni è stata scel- lerata e fallimentare, non servivano i casalesi per capirlo. La responsabilità dello scempio chiama in causa l’intero ceto politico- amministrativo o quasi. Grazie alla famige- rata Bucalossi, di case vuote, invendute o sfitte, ce ne sono fin troppe, a prescindere dalle infiltrazioni camorristiche. Fintanto che il tessuto economico e sociale ha, tutto sommato, retto, la questione è stata posta, al massimo, in termini ambientali (i verdi in questo sono stati maestri). Oggi che l’e- mergenza è in primo luogo sociale si tenta di correre ai ripari, ma la politica, quella buona, dovrebbe fare ben altro: prevenire il disastro e non contribuire a provocarlo. In questo caso Berlusconi c’entra ben poco.




mensile umbro di politica, economia e cultura in edicola con  “il  manifesto”                                                                                                                                                                                                                                  www.micropolis-segnocritico.it/mensile/



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